Il “mio” prof. Romano
Ci sono persone che lasciano un segno nella vita. Ognuno ha le sue, i genitori sicuramente, nonni e zii di frequente, ma talvolta anche degli estranei possono rivelarsi persone “speciali”. Persone con cui non si aveva alcun collegamento, ma che in una qualche occasione hanno incrociato la nostra via e la hanno modificata per sempre. Il prof. Romano per me è stato una di queste.
Non posso dimenticare la prima volta che l’ho incontrato, è stato per una coincidenza a dir poco fortuita (nonché fortunata). Avevo 15 o 16 anni al massimo, e frequentavo la seconda liceo. Con l’insegnante di scienze avevo appena assistito ad una conferenza della “Scuola Aperta di Astronomia”, a Treviso, presso il Collegio Vescovile Pio X.
La Scuola Aperta era una sua emanazione, perché lui,
professore universitario, astronomo affermato, non aveva mai cessato di essere
un astrofilo. Conosceva bene il desiderio e l’appagamento che anche i non
addetti ai lavori provano nel “dolce naufragare” in quell’immenso mare che è il
cosmo. E sapeva trasmettere come pochi l’entusiasmo che lui stesso provava nel
mettere l’occhio sull’oculare; … e sapeva raccontare, in modo a dir poco
appassionato, storie meravigliose su oggetti celesti fantastici. Tutti
pendevano dalle sue labbra.
Per parafrasare un motto detto da altri, “chi sa solo di astronomia, non sa
nulla di astronomia”, ma il prof. Romano sapeva moltissimo anche di altro. La
sua scienza non era fatta solo di astronomia e fisica, ma anche di tutto il
resto. In ragione di ciò, nella sua Scuola Aperta, venivano trattati non solo
aspetti tecnici legati all’astronomia, ma anche epistemologici, temi che
sconfinavano nella filosofia della scienza in senso lato, finanche a lambire
l’etica.
La prima volta che l’ho incontrato ero venuta a Treviso con la mia insegnante
per una conferenza di biologia.
Al termine della conferenza, uscendo dall’aula magna del Pio X, lo abbiamo
incrociato e la mia insegnante si è fermata per chiedergli delle informazioni.
Non ricordo più come si sia svolta esattamente la conversazione, fatto sta che
ad un certo punto il prof. Romano ha esclamato “Ma come, non avete mai visto il
planetario?”. E fu così che in quattro e quattr’otto ci ritrovammo seduti ad
ascoltare un’altra lezione sotto una volta virtuale. Già questo mi era sembrato
di per sé straordinario, ma non finì lì. Probabilmente durante la descrizione
del cielo che scaturì da quella a lezione estemporanea, il professore deve aver
accennato, insieme alle costellazioni, a come si vedevano gli oggetti celesti
al telescopio. “Avete mai guardato il cielo con un telescopio?” – Ovviamente
alla nostra risposta negativa ci portò immediatamente sul terrazzo del Collegio
Vescovile dove era posizionato il riflettore degli Astrofili Trevigiani e lo
puntò sul cielo. Una cosa ricordo distintamene di tutto ciò che ci mostrò:
Albireo. Lo stupore e l’emozione che provai nell’osservare al telescopio quella
stella, la β della costellazione del Cigno, è difficile da descrivere. Albireo
è una doppia che non si può apprezzare ad occhio nudo, ma che al telescopio,
non solo appare distintamente divisa nelle due componenti, ma appare anche
chiaramente composta da due stelle di colore nettamente diverso, una azzurra e
l’altra giallo-arancione. Si era veramente aperto davanti ai miei occhi un
mondo che avevo potuto fino a quel momento al più ammirare tramite fotografie. Per
me fu un colpo di fulmine!
La conclusione è stata che mi sono iscritta al corso di laurea in Astronomia, sono stata sua allieva all’università, ed anche se non posso fregiarmi del titolo di astronoma, posso dire con orgoglio di essere dottore in questa splendida scienza. Ancora oggi, che insegno matematica e fisica al liceo, mi capita di raccontare “storie astronomiche” ai miei allievi, e il pensiero alle sue lezioni così ricche anche di aneddoti è immediato.
Anche dopo l’università, nell’ambito di attività degli
astrofili, ho avuto il piacere di condividere con lui momenti significativi.
Ancora oggi, quando mi capita di parlare di astronomia con le persone, non
posso che confrontarmi idealmente con lui. Risento distintamente la sua voce,
vedo gesti delle sue mani a supporto delle parole, nel sottolineare i concetti
più importanti. Era una persona squisita, gentilezza e cortesia gli erano
assolutamente proprie, si rivolgeva a chiunque con il garbo tipico dei
gentiluomini d’altri tempi.
Negli ultimi tempi mi capitava di incontrarlo alla libreria “Canova” di
Treviso, confesso che quasi lo andavo a cercare, solo per salutarlo.
È stato una grande persona che penso abbia lasciato un’impronta. Su di me senz’altro, e gliene sarò sempre grata.
Nicoletta Capitanio