Ammassi di Galassie
Le più colossali strutture del cosmo.
Franco Vazza – Osservatorio Astronomico di Amburgo
Gli ammassi di galassie sono strutture difficili da concepire alla mente umana, ed esercitano su di essa al massimo grado il fascino della loro incommensurabilità: i numeri che li descrivono sono pressoché impossibili da raffigurare. Un singolo ammasso di galassie può arrivare a contenere massa di quasi un milione di miliardi di soli, e può estendersi da parte a parte quanto cento miliardi di miliardi di volte la distanza Terra-Sole.
Ma non sono soltanto le loro dimensioni colossali, a far vacillare la mente degli scienziati: è anche e soprattutto la formidabile complessità di fenomeni astrofisici coinvolti nella loro evoluzione, distribuita a tutte le possibili scale di osservazione.
Persino le singole supernovae che scoppiano qua e là nelle galassie, possono a lungo andare modificare alcune proprietà globali dell’Ammasso che le ospita, nonostante il fatto che la massa di una supernova sia quasi un milionesimo di miliardi di volte più piccola dell’ammasso di galassie che ospita lei e la sua galassia di appartenenza. Anche il tempo complessivo lungo il quale si snoda l’esistenza degli Ammassi di Galassie può far smarrire la mente: in un tempo di almeno dieci miliardi di anni, una fitta catena di eventi si è succeduta, producendo in ciascun singolo Ammasso quelle particolarità individuali che i moderni telescopi ci sanno mostrare.
Da che cosa è composto un ammasso di galassie?
Partiamo con la questione più semplice, sulla quale c’è un diffuso accordo: la massa degli ammassi è fino al 70% circa materia oscura, e per il 30% materia barionica (ovvero luminosa, del tipo “ordinario”: protoni, neutroni ed elettroni o atomi composti dagli stessi). Meno di un decimo della massa dei barioni (3% della massa complessiva) è in forma di stelle contenute in galassie. Il resto della materia barionica è gas diffuso e caldissimo, distribuito in modo via via più denso verso il centro. Questo mix di componenti sta assieme grazie alla forza di gravità (che, dati i rapporti tra le masse, è principalmente dovuta alla materia oscura), ma sfugge costantemente al collasso grazie ai rispettivi moti spaziali – similmente ad un sistema planetario, salvo che in un ammasso di galassie i moti non sono soltanto circolari o ellittici ma molto più variegati.
La temperatura del gas è compresa tra 107 e 108 gradi, il che significa che questo gas è un plasma: un fluido elettricamente neutro di protoni ed elettroni mescolati assieme (perché il legame elettronico che costituisce gli atomi non può esistere a queste temperature, e la struttura atomica si rompe). Per via del loro intenso moto di agitazione le particelle del gas viaggiano alla velocità di alcune migliaia di chilometri al secondo. Anche le galassie viaggiano in questo mezzo gassoso a velocità molto sostenute e si distribuiscono nel volume di un ammasso con densità crescente verso il centro, in modo un po’ più concentrato del gas. Infine anche la materia oscura è stratificata in questo volume in modo crescente verso il centro. Perché, allora, chiamare queste strutture Ammassi di Galassie e non, per esempio, Ammassi di Materia Oscura oppure Ammassi di Plasma? Come stiamo per vedere, il motivo è più che altro di ordine storico.
Quanto è grande un ammasso di galassie?
La maggior parte degli ammassi di galassie in cielo ha un diametro tipico tra i 60 e i 20 milioni di anni luce, a seconda della massa totale contenuta (tra le 1013 e le 1015 masse solari, considerando sia la materia oscura sia la materia ordinaria).
Tuttavia una stima precisa della grandezza degli ammassi è complicata perché le osservazioni reali ci mostrano solo la porzione più brillante del loro volume, la più centrale e densa; tuttavia il volume totale può essere estrapolato. Una estensione di questo tipo significa che se volendo usare il diametro della nostra Via Lattea come un metro di paragone, dovremmo accostarne tra le 50 e le 200 repliche (a seconda della massa dell’Ammasso considerato) per coprire tale distanza.
Come appare un ammasso ai telescopi ottici?
Dagli anni ‘50 gli astronomi cominciarono a rendersi conto che le galassie in cielo non si distribuivano in modo perfettamente uniforme, ma che in alcuni punti la loro densità era significativamente più elevata che altrove. George Abell e Franz Zwicky furono i pionieri di questi studi ed introdussero i primi criteri quantitativi per riconoscere le zone di maggiore densità di galassie nel cielo. Delimitato il confine di un ammasso di galassie, si iniziò a caratterizzarne la popolazione in galassie: in questo modo si trovò che in queste regioni il rapporto tra ellittiche e spirali è invertito rispetto agli altri ambienti cosmici (come quello dei gruppi, per esempio, o delle galassie isolate).
Negli ammassi le ellittiche risultano molte di più delle spirali. Che cosa causa questa inversione nelle abbondanze? La teoria che spiega la formazione delle ellittiche dallo scontro centrale di due galassie a spirali ha il suo fascino, specie da quando alcune splendide simulazioni al computer hanno effettivamente permesso di indagare il fenomeno nel dettaglio – ciò nonostante questa teoria non è ancora in accordo colle osservazioni: la distribuzione delle galassie ellittiche sembra infatti non variare se si guarda molto indietro nel tempo (ovvero a redshift elevati), mentre ci si aspetterebbe di vederne sempre di meno nel passato, se davvero si formassero da una successione di collisioni nel tempo.
Un punto interessante è che contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la frequenza delle collisioni tra galassie isolate è molto maggiore della frequenza di impatti tra galassie legate in un ammasso, perché, anche se spazialmente molto vicine tra di loro, le galassie d’ammasso sfrecciano nel cielo a velocità elevatissime ed è improbabile che le loro traiettorie si intersechino nello stesso istante. Quando due galassie isolate si avvicinano casualmente, invece, è quasi impossibile che non si scontrino: infatti in questo secondo caso la mutua forza di gravità tra le due tende a far collidere le due orbite. Nel caso degli Ammassi, invece, è la forza di gravità della massa totale dell’Ammasso che comanda, mentre la massa dovuta alle singole galassie è nel complesso quasi trascurabile: per questo motivo le galassie in generale sfrecciano nel plasma d’Ammasso quasi senza ”sentirsi”.
La Via Lattea è contenuta in un ammasso di galassie?
La nostra galassia non fa parte di nessun ammasso di galassie ma forma un sistema gravitazionalmente legato ad altre galassie vicine (la Galassia di Andromeda e le sue satelliti, le Nubi di Magellano ed altre ancora) ma si tratta di un sistema molto più piccolo di un vero e proprio ammasso. Tecnicamente, questo gruppo che contiene appena qualche decina di galassie grandi e piccole, è chiamato “Il Gruppo Locale”. Similmente al caso degli ammassi, però, questo ambiente è tutt’altro che immutabile e tranquillo, ed è anzi caratterizzato da continue trasformazioni: per esempio, entro cinque miliardi di anni dovrebbe avvenire la fusione della nostra Via Lattea con la Galassia di Andromeda, che sta sfrecciando verso di noi alla velocità di 120 km/s. E’ comunque probabile che lungo tempi scala ancora più grandi il Gruppo Locale venga assorbito dagli Amassi più grandi che ci circondano, una fusione dopo l’altra.
Dove si trovano gli ammassi di galassie? Quali sono i più vicini? Quali i più distanti?
Su grandissima scala, l’Universo appare come una colossale struttura schiumosa in cui immense zone di vuoto sono separate da filamenti di galassie o gruppetti di galassie. Gli ammassi si trovano tipicamente nel punto di raccordo di più filamenti, dove la materia luminosa ed oscura continua lentamente a fluire collo scorrere del tempo. Decine di migliaia di ammassi sono attualmente conosciuti, più o meno uniformemente distribuiti nello spazio. Il più lontano finora conosciuto (ma le stime debbono essere aggiornate di continuo) si trova ad un redshift di z=1.4, più meno ad una distanza di luminosità di 30 miliardi di anni luce, ed ha una massa stimata in 2×1014 masse solari.
Invece i più vicini a noi (ed anche i primi ad essere stati scoperti) sono gli ammassi nella Vergine, in Coma e in Perseo; in questi casi le distanze scendono ad una cinquantina di milioni di anni luce, mentre le masse arrivano fino a 2×1015 masse solari. In banda ottica sono oggetti molto luminosi: basti pensare che l’ammasso della Vergine contiene ben 13 galassie del catalogo Messier. Molte energie sono state spese, a partire dalla metà degli anni’80, per individuare quale sia l’enorme condensazione di massa che guida il moto di trascinamento a 600km/s del nostro Gruppo Locale. I primi indizi puntavano al cosiddetto Grande Attrattore, un raggruppamento di ammassi collocato a 250 milioni di anni luce in una regione prospetticamente vicina alle polveri assorbenti della Via Lattea, e quindi piuttosto difficile da osservare. Col tempo si è dimostrato che il Grande Attrattore consiste in realtà di almeno 6 grandi ammassi di Galassie, e si estende in tutto 400 milioni di anni luce. Una massa complessiva spaventosa… ma non è ancora abbastanza! Successive osservazioni hanno svelato che un sistema ancora più grande, la Superconcentrazione di Shapley, è nascosto dietro il Grande Attrattore. Qui sono raccolti almeno 25 ammassi, ad una distanza di almeno cinque miliardi di anni luce. Tuttavia forse nemmeno questo superammasso è in grado di giustificare l’attrazione gravitazionale che costantemente accelera il Gruppo Locale: ecco perché nei cosmologi si fa sempre più largo l’idea che questi superammassi siano soltanto alcune tra le perle di una lunga collana: un gigantesco filamento di ammassi che risucchia il nostro universo locale come aspirandolo lungo una cannuccia.
Come si forma un Ammasso?
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare tutte le fasi salienti della nascita e dell’evoluzione degli ammassi sono perfettamente descrivibili dalla Gravitazione Universale di Newton, senza ricorrere a nulla di complicato come per esempio la Relatività di Einstein. Il modello prevede che dalle lievi fluttuazioni di materia (oscura e barionica) generate dopo il Big Bang prendono origine le prime condensazioni di materia, che crescono ininterrottamente nel tempo finché trovano attorno a sé materia da ”mangiare”; in questo modello, che la maggior parte della comunità astronomica considera consolidato, le strutture più grandi sono state per forza di cose le ultime a formarsi e gli Ammassi, in particolare, hanno potuto formarsi soltanto in epoche più recenti di z=2, ovvero meno di dieci miliardi di anni fa (il Big Bang si crede sia avvenuto poco più di 13 miliardi di anni fa). Tale scenario è detto del Clustering Gerarchico, da cluster = ammasso. Se si vogliono delle stime un po’ più dettagliate, tuttavia, anche nel caso di una teoria semplice come quella di Newton le cose iniziano a complicarsi. Mentre il problema di come due corpi orbitano l’uno attorno all’altro ha una soluzione semplice, il problema di moltissimi corpi in orbita reciproca è irresolubile dal punto di vista analitico (cioè ”carta e penna”). Il meglio che si possa fare è allora inserire delle versioni virtuali di materia oscura, plasma e stelle in un calcolatore, e chiedergli di calcolare la reciproche attrazioni dei corpi tra di loro, facendo evolvere il tutto nel tempo. In altre parole, il problema della formazione di questi giganti si affronta simulando tutto il processo in un computer, per mezzo di virtuosismi tecnici che talvolta sconfinano nell’arte. Da una trentina d’anni questa procedura è diventata l’approccio più efficace al problema, ed ha regalato un bel balzo in avanti alla teoria pura, spesso fornendole idee corrette prima che
lo potessero fare le osservazioni al telescopio. Al momento, le proprietà su grande scala dell’Universo sono molto ben conosciute, e in generale le osservazioni coincidono con la teoria: il modello del Clustering Gerarchico appare davvero la via corretta per descrivere il nostro universo.
Al di là delle complicate statistiche necessarie ai cosmologi per dibattere nel dettaglio la questione, forse per convincersi può bastare uno sguardo alla bellezza delle strutture virtuali che ormai da parecchi anni “vivono” nel cuore dei migliori super-computer del mondo; data la legge di crescita quasi costante della potenza di calcolo a disposizione degli scienziati nel corso degli anni, le simulazioni dei giorni nostri sono il risultato di decine di migliaia di ore di calcolo ininterrotto, eseguite contemporaneamente su centinaia o migliaia di processori. I maggiori centri di super-calcolo Europei per l’astronomia sono attualmente a Monaco di Baviera, per esempio, o a Parigi, Durham, Nottingham, Zurigo, Barcellona – oppure a Trieste, Padova e Bologna per citare l’Italia.
Perché un Ammasso emette raggi X?
Quando un elettrone sfreccia a migliaia di chilometri al secondo nel plasma d’ammasso e sorpassa un protone, subisce una piccola deviazione per effetto della reciproca forza elettrica, ed in questa deviazione perde un briciolo della sua energia, che emette come un lampo di luce. Questo lampo di luce casca nel dominio X delle frequenze, e la somma dell’infinità di tutti i lampi di luce di tutti gli elettroni nel volume dell’Ammasso produce una grandissima luminosità X, dell’ordine dei 1046 erg/s (per confronto si consideri che il Sole, anche se in banda visibile, emette circa 1033 erg/s, ovvero diecimila miliardi di volte in meno). Solitamente la radiazione X non riesce a penetrare indenne gli strati assorbenti dell’Esosfera terrestre, e l’unico modo per ottenere informazioni astrofisiche da questa banda è quello di spedire dei satelliti orbitanti oltre i 2000 km di quota. Una prima generazione di satelliti X (tra i quali ricordiamo le missioni statunitensi UHURU e HEAO), lanciate negli anni’70 , permise di osservare per la prima volta la luminosità in X degli ammassi; per queste pionieristiche ricerche è stato conferito, nel 2002, il Nobel per la fisica all’italiano Riccardo Giacconi. Altre missioni X nei primi anni ‘90 (la anglo- germano-statunitense Rosat, ad esempio, o la giapponese ASCA) hanno iniziato a svelare la struttura degli Ammassi più grandi e vicini, ma il vero salto di qualità si è avuto solo verso la fine del millennio, grazie alla messa in orbita di due veri e propri gioielli: il satellite statunitense Chandra e quello europeo XMM. Mettendo assieme le loro specifiche qualità, in qualche modo complementari (il primo è imbattibile nelle riprese ad alta risoluzione delle regioni centrali, mentre il secondo permette di estrarre spettri di emissione estremamente ben risolti), la comunità scientifica si è vista regalare di colpo una mole di dati eccezionali. Potendo avere buone stime della luminosità e della temperatura almeno degli Ammassi più ricchi, è divenuto di colpo possibile realizzare delle stime di massa ed energia totale davvero buone, attraverso le quali raffinare le nostre conoscenze di questi giganti, come stiamo per vedere.
Che aspetto ha un Ammasso di Galassie in banda X?
Grosso modo sferico, innanzitutto, e caratterizzato da una distribuzione di luminosità crescente verso il centro. Nonostante le galassie sfreccino all’interno di questo oceano di gas caldissimo, esse lasciano poca o nessuna impronta di sé in una mappa X (si veda la Figura 2 in alto).
Questo era quanto mostravano nella maggior parte dei casi satelliti come ROSAT o ASCA, ma come detto Chandra e XMM hanno permesso il salto di qualità. Ora invece si sa con certezza che il plasma d’ammasso reca su di sé le tracce di qualsiasi evento abbia influenzato da vicino la sua vita: esplosioni di supernovae nelle galassie contenute, fuoriuscite di materiale caldissimo dalla galassia cD centrale, la cattura di ammassi più piccoli o vere e proprie fusioni con ammassi di taglia simile. Ciascuno di questi episodi è in grado di lasciare delle impronte molto nette nelle mappe di temperatura e luminosità di un ammasso di Galassie, come ad esempio le colossali superfici di shock che si generano quando due strutture cosmiche di taglia simile entrano in contatto.
Si potrebbe paragonare il plasma che riempie un ammasso allo specchio pieno d’acqua di un grande lago, che tocca in prossimità del centro la sua massima profondità. Nel complesso la forma del lago e il suo volume variano molto lentamente nel tempo, e possono dare una qualche informazione sulla sua origine: se si tratta della bocca di un vulcano estinto, per esempio, o il risultato dello scavo di un ghiacciaio o di un fiume, o se il lago è artificiale. Tuttavia scendendo via via fino al livello dell’acqua potremmo imparare qualcosa riguardo agli episodi più recenti: una frana lungo un lato che cambia la forma della riva, o la scia lasciata di fresco da una barca piccola o grande che ci naviga attraverso. Allo stesso modo, le sottili fluttuazioni di temperatura e velocità misurabili nelle regioni interne di un ammasso di galassie ci parlano di tutti gli eventi più recenti della sua vita.
Gli ammassi sono visibili anche in banda radio? E che aspetto hanno?
Ultima in ordine cronologico ad essere scoperta è stata l’emissione radio dagli ammassi. Nella maggior parte dei casi, in astrofisica, l’emissione di energia in questa banda da parte di ambienti densi è collegata alla presenza di un campo magnetico. Infatti un elettrone è forzato ad un moto a spirale lungo le linee del campo magnetico, ed irraggia energia in modo proporzionale alla velocità del suo moto e alla forza del campo magnetico (questo meccanismo si chiama sincrotrone); nel caso di un ammasso, tuttavia, questa emissione può avvenire soltanto per velocità degli elettroni solo di poco inferiori a quella della luce, perché i campi magnetici sono molto piccoli (circa diecimila volte meno intensi di quelli alla superficie terrestre). Eppure di norma la velocità pure elevata degli elettroni d’ammasso è decisamente inferiore al necessario, e ci si attendeva che per questo motivo gli Ammassi fossero essenzialmente muti nella banda delle onde radio. Invece a partire dagli anni ’80, grazie ad osservazioni molto dettagliate portati avanti dai migliori osservatori radio del mondo (citiamo, su tutti, il Verry Large Array installato nel deserto del New Mexico, presso Socorro), si è invece scoperto che alcune particolari regioni all’interno degli ammassi sono dei colossali emettitori di onde radio. Tali regioni sono chiamate “Radio-Aloni” . Per qualche motivo ancora non del tutto conosciuto, in queste regioni gli elettroni acquistano una energia così elevata da sfrecciare veloci come la luce, e riescono ad emettere grandi quantità di energia in banda radio. Che cosa accelera gli elettroni fino a queste energie? Altro terreno sul quale gli astronomi si danno quotidianamente battaglia! Secondo alcuni, gli elettroni ricevono un enorme botta quando vengono attraversati da uno shock, e da quel punto in poi hanno sufficiente energia per emettere in banda radio. Questo non spiegherebbe, sostiene l’altra scuola di pensiero, come sia possibile osservare Radio-Aloni anche ad una grandissima distanza da qualsiasi evidente shock, o anche nella totale assenza di shock. Per similitudine con altri ambienti astrofisici, come ad esempio il vento solare, si può allora pensare anche ad un secondo meccanismo, per il quale i moti turbolenti e vorticosi del plasma decadono dalle scale più grandi a quelle più piccole, e dissipandosi cedono parte della loro energia agli elettroni del plasma, fino ad accelerarli alla velocità della luce. Siccome moltissimi fenomeni all’interno degli ammassi hanno la capacità di innescare moti turbolenti nel plasma (la fusione tra ammassi, il passaggio di galassie, l’attività dei nuclei galattici eccetera), questo meccanismo spiegherebbe in modo abbastanza semplice ed elegante l’evidenza che tutti gli ammassi con radio emissione hanno un aspetto molto perturbato, come se avessero appena subito eventi catastrofici. Unico problema: nessuna evidenza, fino ad ora, che il plasma degli Ammassi contenga davvero i vortici della giusta grandezza!
Come accennato sopra, il satellite giapponese Suzaku avrebbe avuto tutte le carte in regola per osservare anche questo fenomeno, ma i problemi tecnici da esso incontrati rinvieranno molto avanti nel tempo gli sviluppi in questo campo. Tuttavia, proprio dal campo Radio potrebbero venire importantissime sorprese (o conferme) negli anni a venire. Infatti è già in stato di avanzata costruzione il gigantesco interferometro europeo LOFAR, una sterminata rete di antenne disseminate in tutta Europa (il ”baricentro” della rete è collocato in Olanda, mentre le altre antenne verranno disseminate in tutta Europa, purtroppo tranne che in Italia) che osserverà il cosmo alla lunghezze d’onda tra 30 e 300Mhz. Grazie a questo strumento, si stima che il numero di Aloni Radio osservabili in tutto il cielo dovrebbe essere dell’ordine dei mille, quasi cento volte più del numero conosciuto oggi. Questa sterminata mole di dati attesi per il futuro, dovrebbe permettere di catturare definitivamente l’eventuale presenza di turbolenza nel plasma degli ammassi.
Che cosa accade nel cuore di un ammasso?
Come abbiamo visto tutta la massa di plasma che riempie il volume d’ammasso irraggia continuamente energia in banda X. Perdendo energia il plasma si raffredda progressivamente e diviene più denso, ed il suo destino dovrebbe essere quello di depositare lentamente nelle zone più centrali dell’ammasso. Il destino ultimo di ciascun ammasso, dunque, parrebbe quello di un inarrestabile collasso su se stesso, come per un palazzo al quale si compattino via via i piani inferiori.
Credendo in questo (molto plausibile) modello, gli astronomi si attendevano, negli anni ’90, di poter misurare colossali flussi di plasma in raffreddamento e caduta verso il cuore degli ammassi, ed ancora prima di osservarli avevano già coniato loro un nome: Cooling Flow, ovvero Flussi di Raffreddamento. Ebbene, sorpresa della sorprese! Nessun Cooling Flow è mai stato veramente osservato, nemmeno dopo l’avvento di Chandra o XMM. Visto che è certo che il plasma perda energia per radiazione, e tuttavia il flusso di raffreddamento non si osserva, è necessario che una qualche sorgente ulteriore di energia sia presente nel cuore di ciascun Ammasso, e bilanci il collasso. Ma quale sorgente? Inutile dire che, qui come altrove, questi interrogativi aperti lasciano spazio a piccoli e grandi scontri di idee.
C’è chi propone che un tasso elevato di supernove esplose per ciascuna galassia d’Ammasso sia in grado di rifornire il plasma dell’energia persa in radiazione. Secondo altre scuole di pensiero il plasma, in presenza di un certo campo magnetico (che non è ancora stato osservato nel dettaglio, purtroppo) diventerebbe un ottimo conduttore di calore, e sarebbe in grado di ”travasare” di continuo il calore lungo le colossali distanze dell’ammasso, rifornendo di calore le parti in via di raffreddamento.
Infine, secondo altri il responsabile sarebbe – in modo abbastanza indiretto – il gigantesco buco nero contenuto nel cuore delle grandi galassie cD ospitate al centro degli ammassi. Nelle vicinanze di alcune di questi oggetti, specialmente negli ammassi più vicini, sono state in effetti osservate colossali nubi di materiale energetico in fuga verso l’esterno, simili a bolle d’aria in fuga da una pentola di acqua in ebollizione. Tali bolle sarebbero ciò che resta del materiale molto energetico espulso dal buco nero della galassia cD, che trovatosi di colpo in un ambiente denso e freddo (anche se si parla pur sempre di milioni di gradi!) galleggerebbe verso l’esterno per effetto della sua minore densità. Se le bolle fossero prodotte abbastanza spesso frequenti, forse il loro passaggio verso l’esterno potrebbe bilanciare il flusso di raffreddamento. Gli astrofisici sono ancora al lavoro per cogliere di dettagli di questo scenario, ma le più recenti osservazioni indicano che questo meccanismo potrebbe essere davvero quello corretto (sotto).
Il Destino degli ammassi di galassie … e Conclusione
Il grande numero di punti ancora oscuri nella descrizione degli ammassi di galassie getta parecchia incertezza sulla loro vita futura. Sappiamo per certo – per lo meno se crediamo nel Modello Standard – che tutti gli ammassi già formati non verranno smembrati dall’espansione accelerata che sta globalmente stiracchiando lo spazio-tempo, ma che resteranno per sempre delle strutture legate. Eppure nel complesso gli ammassi di galassie si allontaneranno sempre di più gli uni dagli altri, in qualche modo “sospinti” da immense bolle di spazio vuoto gonfiate dalla misteriosa energia oscura.
Resta tuttavia incerto se ciascun ammasso continuerà per sempre ad avere una forma simile a quella che conosciamo ora, o se in quale modo evolverà. Come abbiamo visto non si sa ancora che cosa realmente arresti il Flusso di Raffreddamento, e non è quindi possibile azzardare se il collasso dovuto alla gravità verrà arrestato anche in un remoto futuro. Le galassie che oggi osserviamo continueranno ad emettere energia ancora per molto tempo, grazie alle nuove generazioni di stelle che nasceranno dalle ceneri delle presenti … ma con un progressivo e lento affievolirsi delle fonti di energia nucleari, che le porterà presumibilmente a diventare inerti e fredde tra qualche centinaio di migliaia di miliardi di anni. Se tutto questo fosse vero, dovremmo aspettarci che gli ammassi del remoto futuro siano come colossali città del tutto abbandonate, buie e silenziose, delle vere e proprie cattedrali nel deserto cosmico. Tuttavia le vicende della scienza insegnano che le novità da scoprire si succedono in continuazione. Nulla vieta di pensare che qualche nuovo meccanismo, che attualmente ignoriamo, potrà prolungare nel tempo lo sfarzo di questi giganti. Per ora non resta che accontentarsi di osservare la loro misteriosa maestà, sparsa in tutte le direzioni attorno a noi, ed attendere le spettacolari nuove osservazioni che gli anni che ci attendono sapranno di sicuro regalare.
(Tratto e rielaborato da “Ammassi di Galssie, megalopoli della materia”, di Franco Vazza, Le Stelle, Marzo 2009)
Appendici:
Ammassi di Galassie e cosmologia
La misura dell’abbondanza degli ammassi per ciascuna “taglia” di massa, al passare del tempo, è uno strumento molto potente per stimare alcuni dei valori tipici che caratterizzano l’Universo. Maggiore la densità complessiva di materia del Cosmo (ΩM) e più rapida la crescita di queste strutture per effetto della
forza di gravità. Ad ogni modello di universo possibile (caratterizzato da ΩM, appunto, e dalla densità della energia oscura del vuoto, ΩΛ) corrisponde una
determinata abbondanza attesa per gli ammassi, ad ogni taglia; avendo allora a disposizione abbastanza osservazioni è allora possibile sapere i parametri di densità dell’Universo semplicemente contando quanti ammassi di una certa massa esistono intorno a noi. Anche altre osservazioni hanno lo stesso scopo: per esempio la frazione della sola materia ordinaria (barionica) contenuta negli ammassi di Galassie dovrebbe più o meno rispecchiare la produzione degli elementi avvenuta durante il Big Bang. L’insieme dei dati finora acquisiti dagli ammassi sembra spingere con decisione verso quello stesso modello di Universo che, da tutt’altre osservazioni (per esempio l’analisi del Fondo Cosmico di Microonde, o delle supernove ad alto redshift), viene attualmente considerato come lo Standard: un Universo complessivamente a geometria piatta, dominato per il 70% da una fonte di energia oscura e per il 30% dalla materia, soltanto un decimo della quale è sotto forma della materia che conosciamo.
Ammassi in fotografia
La finestra ottica è, ovviamente, l’unica che permetta anche all’astrofilo di riprendere un Ammasso di Galassie al telescopio. L’impresa è resa difficile essenzialmente dal fatto che si tratta quasi sempre di campi molto grandi in cielo (per esempio l’ammasso della Vergine sottende almeno 10° quadrati in cielo), che è possibile coprire soltanto con grandi mosaici a CCD, oppure per mezzo di telescopi a grande campo corretto, come gli Schmidt-Cassegrain…ciò nonostante, se ci si accontenta delle regioni centrali e più ricche di galassie, o di gruppi compatti di galassie, i risultati possono essere anche molto suggestivi.
Scarica la versione pdf: Ammassi di Galassie