Troppa luce fa male. Alle tasche e all’ambiente
La testa a giornalistica Vvox pubblica un esauriente articolo che pubblichiamo volentieri (dopo averne chiesta l’autorizzazione) in quanto mette in evidenza come, in definintiva, la lotta contro l’inquinamento luminoso sia una lotta contro il “superfluo” e non contro la sicurezza, come molti vorrebbero farci credere.
Quando si parla di inquinamento siamo soliti pensare allo smog o alle falde acquifere. Raramente prendiamo in considerazione l’inquinamento luminoso, la tendenza a illuminare troppo, a giorno, strade e centri abitati. Eppure, si tratta di una vera piaga sociale e ambientale, come spiega Leopoldo Dalla Gassa, presidente dell’associazione no-profit VenetoStellato, che riunisce astrofili e ricercatori da tutta la regione. «Facciamo parte dell’UAI, Unione Astrofili Italiani e di CieloBuio, l’associazione nazionale contro l’inquinamento luminoso, che è prima di tutto un problema culturale: perdiamo la percezione del cielo stellato, l’altra metà del paesaggio, che ha ispirato l’uomo per millenni. È una grossa perdita. In secondo luogo è un problema ambientale. L’illuminazione artificiale influisce sul ciclo clorofilliano delle piante, che ha bisogno del giorno e della notte. Stiamo stravolgendo questi ritmi, con pesanti conseguenze anche per la fauna, penso ai rapaci e agli uccelli migratori».
Rispetto al resto d’Italia, il Veneto non è messo male a livello normativo, anche se «purtroppo facciamo parte della Pianura Padana, che è ormai è un’unica enorme città metropolitana e l’inquinamento luminoso si protrae per oltre 300 chilometri, attenuato solo dalla curvatura terreste. Si pensi che il 3% dell’inquinamento luminoso subito dall’Osservatorio di Asiago, a cima Ekar, che è il più grande d’Italia, è prodotto dalla città di Milano». Insomma, scontiamo anche la dispersione luminosa delle regioni limitrofe e più in generale, rispetto all’Europa, l’Italia è messa molto male. «Consumiamo il doppio rispetto alla Germania: 106 kilowatt pro capite, contro i 48 dei tedeschi, e i 40 degli inglesi». Uno spreco energetico enorme e come al solito «paga Pantalone. Ovvero noi, con la Tasi», mentre se in patria fossimo efficienti come i nostri vicini europei, arriveremmo a risparmiare un miliardo di euro all’anno. In più, per produrre questa energia sprecata, si inquina. «Ad ogni kilowatt prodotto equivale a mezzo chilo di CO2 immessa in atmosfera – la causa del riscaldamento globale, ndr».
Le responsabilità sono equamente divise tra pubblico e privato. «Molte regioni, anche su nostra richiesta, hanno cercato di porre un freno, soprattutto per contenere i costi, ma a livello centrale non è mai stata adottata una legge nazionale. Per quanto riguarda i privati, invece, immaginiamo tutti i centri commerciali e industriali. Ci sono fari usati per illuminare insegne che disperdono l’80% del flusso luminoso. E solo perché c’è un’ignoranza di fondo». Dalla Gassa punta il dito contro i professionisti del settore, che «spesso sovra-illuminano delle zone con livelli due o tre volte superiori rispetto a quanto previsto dalle norme». Illuminazione fuorilegge spesso giustificata dalla necessità di garantire maggiore sicurezza. Un assioma tutto italiano e da sfatare: «sono le leggi e il controllo del territorio a garantire la sicurezza, non la luce. Il 60-70% della spesa energetica di ogni Comune è dovuta all’illuminazione pubblica. È un’enormità. Se riuscissimo a ridurla del 50%, con quei soldi si potrebbero magari assumere degli agenti di polizia. E allora dove c’è più sicurezza? Dove c’è il lampione o dove c’è il poliziotto?».
Un paio di anni fa Enrico Bondi, commissario del governo Monti, provò a proporre di ridurre l’illuminazione stradale per risparmiare sulla bolletta, ma l’idea venne cassata proprio per le polemiche legate alla sicurezza delle città. «Ci fu una disinformazione totale dei media, perché si chiedeva di spegnere quello che non era indispensabile. Per esempio, oltre una certa ora una tangenziale illuminata non ha senso, le auto hanno già i propri sistemi di illuminazione, come previsto dal codice della strada. Oppure, perché non spegnere le zone industriali e artigianali che dopo una certa ora sono deserte? Se per alcune aziende è un problema, possono provvedere a installare una luce per illuminare l’esterno del proprio capannone, senza gravare sulla collettività». Che i privati si arrangino, insomma. Il modello da seguire è quello delle smart city d’Oltralpe. «In Francia, con le loro centrali nucleari, più di 4.000 comuni spengono l’illuminazione pubblica da mezzanotte alle sei di mattina. Da noi non lo fa nessuno e compriamo l’energia da loro. Di più: la Torre Eiffel, monumento nazionale, all’una di notte è spenta». E il Duomo di Milano? «Acceso, naturalmente». Lo steso vale quando si passa il Brennero, dove al confine le cose cambiano – letteralmente – dal giorno alla notte. «L’autostrada non è illuminata, né gli svincoli o gli autogrill. Gli unici lampioni si trovano sopra i bidoni dell’immondizia nelle aree di sosta, per non sbagliare a buttare i rifiuti».
Per risolvere il problema «la prima cosa da fare è stilare il Piano Comunale dell’Illuminazione in tutti i centri abitati, come previsto dalla Legge Regionale n.17/2009, che prevede di registrare i picchi di traffico così da poter abbassare il flusso luminoso quando non necessario. Nelle strade con volumi di traffico particolarmente bassi, le amministrazioni più intelligenti potrebbero installare dei sensori di presenza, per fare luce solo quando passa un veicolo». Un aiuto può provenire dalle luci a LED, anche se, precisa Dalla Gassa, non rappresentano la soluzione poiché «costano di più e in termini di consumi si risparmia poco» e in alcuni casi possono perfino risultare dannosi. I LED “a luce bianca”, infatti, «fanno male all’uomo a livello biologico, perché questa luce, che vira verso il blu, incide sui ritmi circadiani e la melatonina molto di più rispetto alla tradizionale luce gialla. Inoltre, a parità di luce prodotta, l’inquinamento luminoso peggiora, perché la luce bianco-blu emette su tutto lo spettro e non riesce ad essere filtrata dai telescopi».
VenetoStellato opera con segnalazioni quotidiane alle amministrazioni comunali: «facciamo presente che c’è una legge regionale, chiedendo interventi nei confronti dei privati che avrebbero dovuto mettersi a norma entro tre anni dalla sua entrata in vigore. Invece, ne sono passati sei e molti comuni non fanno nulla per far rispettare la legge se non siamo noi a costringerli. Addirittura, per il comune di Curtarolo ci siamo dovuti rivolgere alla Procura della Repubblica, ma non si dovrebbe arrivare a questo. La legge va fatta rispettare, punto». Investimenti diretti delle amministrazioni pubbliche sono rari: «la risposta è sempre “non abbiamo i soldi” ». Eppure di interventi a costo zero sono possibili, come dimostrato a Verona con la messa a norma di 60 torri faro semplicemente regolando l’inclinazione delle lampade da 90° a 45°, che ha consentito di spegnere tre quarti dei fari. «Un proiettore inclinato illumina più lontano, ma spreco metà dell’energia che produco perché parte del flusso va verso l’alto. Se lo posiziono parallelo al terreno, invece, lo sfrutto al 100% e magari posso anche diminuire il flusso». Si tratta di cultura illuminotecnica, da parte di privati, progettisti e installatori. «Non vogliamo portare le città al medioevo. Assolutamente. Il superfluo, però, si può eliminare».
Articolo di Riccardo Allione